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In 2 miliardi senza accesso alle fonti. Ma l'acqua deve essere diritto di tutti



Ué l'Europa rivista - inserto di Liberazione, articolo di Barbara Battaglia

Come garantire l’accesso all’acqua? Per cercare di rispondere a questo quesito di portata planetaria si sono riuniti a Bruxelles dal 18 al 20 marzo parlamentari, amministratori locali, rappresentanti di imprese pubbliche dell’acqua, esponenti dei sindacati e dei movimenti della società civile, in occasione dell’Assemblea Mondiale degli Eletti e dei Cittadini per l’Acqua (AMECE).
Tra di loro anche Vittorio Agnoletto, eurodeputato della Sinistra Europea, che ha voluto puntare l’attenzione su alcuni aspetti specifici del problema legato all’oro blu.
«L’opinione pubblica e le istituzioni – dichiara il parlamentare – sembrano non accorgersi dei diversi risvolti che la mancanza di acqua pulita comporta per le popolazioni dei Paesi poveri. Emblema di questa totale mancanza di interesse e visibilità è la questione dei servizi igienici: una vera piaga per il Sud del mondo, che fa più vittime delle guerre ma che sembra passare inosservata. Basti pensare che il Rapporto 2006 del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) parla di 2 miliardi e 600 milioni di persone che abitano in luoghi sprovvisti di servizi igienici e di 1,8 milioni di bambini che muoiono ogni anno di diarrea, malattia che potrebbe essere prevenuta con l’accesso a fonti pulite e un gabinetto. Secondo lo stesso studio basterebbe infatti installare in ogni casa un gabinetto con uno sciacquone per ridurre di circa un terzo la mortalità infantile a livello globale».
Il Rapporto citato da Agnoletto dimostra anche come la crisi idrica e sanitaria abbia un effetto nefasto sulla crescita dei singoli stati, tanto che l’Africa subsahariana perde ogni anno per questo motivo il cinque per cento del Pil.
«E questa perdita – continua l’europarlamentare - ricade in gran parte sui contadini che devono far fronte al riscaldamento globale e alla competizione per le risorse idriche. Nei Paesi emergenti, d’altro canto, il numero di persone da sfamare continua ad aumentare e con esso la quantità d’acqua necessaria per diversificare i modelli nutritivi: la produzione di carne e zucchero, ad esempio, comporta un impiego idrico molto maggiore rispetto a quello necessario per il grano o il riso. Nel frattempo, produrre un singolo hamburger richiede circa 11mila litri d’acqua, più o meno la stessa quantità quotidiana di acqua usata da 500 abitanti di una baraccopoli urbana…».
Tutto ciò è dovuto, in prima istanza, ad una carenza cronica di finanziamenti. «La spesa pubblica destinata a questi settori normalmente è inferiore allo 0,5 per cento del Pil.  Una cifra ridicola rispetto alla spesa militare: in Etiopia il budget della difesa è 10 volte più elevato dei fondi destinati all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, in Pakistan 47 volte maggiore. Per capovolgere la situazione si dovrebbe reindirizzare una parte degli investimenti attualmente destinati alla difesa a favore di un Programma speciale dell’Onu per l’acqua. Così come stabilisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dobbiamo puntare al traguardo di 50 litri di acqua pulita al giorno per ogni cittadino. Sono in gioco il riconoscimento, la promozione e la garanzia di un diritto umano fondamentale così come sancito dalla risoluzione del 15 marzo 2006 del Parlamento europeo».
In quell’occasione l’aula di Strasburgo chiese infatti alla Commissione Europea di negoziare il riconoscimento di tale diritto, di proporre un Trattato Internazionale sull'Acqua, nel quale l'acqua fosse definita «servizio pubblico universale» e propose la creazione di un'agenzia Onu di coordinamento sull'acqua. 
Quali sono allora oggi i passi possibili per invertire la rotta? «Il diritto all’acqua – conclude l’eurodeputato – va inserito anzi tutto nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, in occasione del sessantesimo anniversario del testo, a dicembre del 2008. Quindi, occorre fare pressione sulle istituzioni affinché si predisponga e si stipuli una Convenzione internazionale per l’accesso all’acqua sotto l’egida dell’Onu. Ancora, dobbiamo chiedere che tale diritto venga inserito nelle Costituzioni dei singoli Paesi e, per finire, porci come obiettivo la realizzazione di una commissione d’inchiesta sull’uso dei fondi privati internazionali nel settore idrico».






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