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L’otto marzo delle donne afgane e la primavera delle mine



Da Liberazione di venerdì 9 marzo 2007, pag.
Vittorio Agnoletto da Kabul

Il giornale in inglese di Kabul scrive: «Reporter italiano arrestato dai talebani» come se il Sud fosse un altro Stato. Un deputato raccoglie denunce nel parco e la società civile non vuole l’amnistia

Il giornale di lingua inglese a Kabul, News, ha un solo trafiletto sul rapimento di Daniele Mastrogiacomo che dice: «Reporter italiano arrestato dai talebani». Badate bene, “arrestato” come se ci fosse già un altro Stato riconosciuto in quel Sud di guerra, come se i taliban fossero l’autorità con cui avere a che fare. L’appuntamento della mattina è con Ashraf Orzala, rettrice di Hawca, un’associazione di donne impegnate nell’assistenza all’infanzia e soprattutto per i diritti e la presenza di genere. Con loro abbiamo festeggiato un otto marzo di canzoni, poesie e storie terribili di donne vendute, prostrate, scambiate anche a 12 anni per essere le ultime spose di vecchi feudatari. Ragazze con parte del corpo bruciato per aver disubbidito alla famiglia e una bambina con le mani completamente mangiate da una radio-dermatite  (l’Assocazione di solidarietà con le donne afgane la porterà in Italia per farsi curare). Hawca è nata nel 1999 sotto i taleban, è riconosciuta e lavora nelle scuole, con proprie strutture di formazione e gestisce la prima casa protetta per donne maltrattate e ripudiate. Un esperimento notevole. Se parliamo di politica e società civile il loro punto di vista è netto: «Avevamo detto già nel 2004 che era troppo presto per elezioni presidenziali o parlamentari - dice Orzala – la democrazia non si inventa e così il voto è stato gestito con le armi e i soldi della guerra civile e infatti hanno vinto i sgnori della guerra». L’hanno detto all’epoca al rappresentante della Ue che non ha mai voluto incontrarle, salvo dopo le elezioni accorgersi che esisteva una società civile. Tanta fretta nel nome della democrazia da parte europea è stata un grave errore o un calcolo preciso? Se ascoltiamo la rete delle donne afgane e il “Network della società civile per i diritti umani” la risposta vien da sola. Il loro problema politico numero uno in questo momento si chiama amnistia, votata dal Parlamento quasi all’unanimità. Karzai vorrebbe farne una riconciliazione di tipo sudafricano, ma senza processi, senza riconoscimenti di colpa, senza niente. Invece di “verità e giustizia” come in Afghanistan un colpo di spugna. Così davanti al Parlamento si raccolgono 250 vittime della guerra per dirgli di soprassedere, ma non lo farà. «Se approva la legge rischia di perdere il sostegno nazionale, ma se non l’approva rischia di perdere i signori della guerra», ci spiegano. E con l’aria che tira... Di sicuro se ci sarà l’amnistia Karzai dovrà cambiare l’art.7 della Costituzione che prevede il rispetto di tutte le convenzioni internazionali e dei diritti umani. Potrà sempre appellarsi però all’art.3 di questa Costituzione stile menù che dice: nessuna legge può violare la Shariia: le cose si conciliano secondo opportunità. L’altra faccia di Kabul è quella di Ramazan Bashardost, parlamentare indipendente, che passa la sua vita da mesi in una tenda nel parco centrale della città per ascoltare le denunce di singoli cittadini. Nomi e congomi che finiscono in interpellanze e denunce.
Tutte le persone a cui chiediamo della missione Isaf rispondono così: «Non capiamo il loro comportamento e la loro presenza, stanno spingendo la gente verso i talebani». C’è una storia che tutti raccontano che spiega bene il concetto. Una famiglia di contadini di notte viene svegliata dai talebani che si fanno dar da mangiare e poi se ne vanno. Alla mattina arrivano i soldati stranieri, li accusano di essere talebani e si portano via il capo famiglia. Chi è ostaggio di chi? Se gli chiedete chi sono i talebani rispondono: «tre gruppi: quelli dei servizi segreti pakistani, quelli di Al Qaeda e gli “ordinar talib” che non riconoscono l’occupazione e l’autorità del governo». Sono quelli più numerosi e che sarebbero disponibili a un confronto. Al pomeriggio visita all’ospedale di Emergency dove l’efficienza, la pulizia e l’attenzione alla relazione con la gente sono davvero impressionanti. Ai primi giorni di primavera a Kabul i bambini tornano a giocare nei campi, nelle strade e a saltare in aria sulle mine. Sono tanti. Una scena cruda

 







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