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Vittorio Agnoletto: Missione Afghanistan, io non la voterei



il manifesto

Non invidio i pacifisti che ora siedono in parlamento italiano. Ne conosco le convinzioni profonde e so quali difficili giornate stanno vivendo. Da settimane sono sottoposti ad una forsennata campagna......che cerca di accreditare la tesi secondo la quale la sopravvivenza del governo è appesa alla loro disponibilità a dare il via libera alla permanenza dei militari italiani in Afghanistan: altrimenti saranno considerati i responsabili di un salto nel buio. Non li invidio. Dico subito che non mi piace chi punta preventivamente il dito accusatorio e aggiungo che, qualunque sarà la scelta, intatta resterà la stima e la consonanza politica.
Credo sia giusto che almeno noi, non li lasciamo soli, ma ci assumiamo le nostre responsabilità ragionando collettivamente a voce alta. Esprimo quindi ad esprimere il mio pensiero: io non voterei una mozione che preveda la permanenza del nostro contingente in Afghanistan. L'attuale condizione di quel Paese è sotto gli occhi di tutti: un governo sostenuto dagli Usa che non controlla completamente nemmeno Kabul e che si appoggia ai signori della guerra; la produzione di oppio raddoppiata negli ultimi quattro anni; il moltiplicarsi in tutto l'Afghanistan di basi militari Usa destinate a rimanere sine die; una presenza ONU che appare sempre più come la dama di corte della Nato; il terrorismo che, lungi dall'essere sconfitto, si è diffuso in tutta la regione. Una vera e propria situazione di guerra destinata ad ampliarsi. "Contro la guerra senza se e senza ma", "Fuori la guerra dalla Storia": non sono slogan, ma rappresentano la rottura definitiva con una cultura che ha dominato per millenni. La guerra non più come prosecuzione della politica o come levatrice della Storia, ma riconosciuta drammaticamente come strumento in grado di porre fine alle vicende umane. Chi parla di "guerra preventiva", di "guerra umanitaria" esprime la falsa coscienza. Di chi, consapevole della tragedia umana che rischia di innestare, cerca di occultare un'opzione che nasconde gli interessi economici e politici di sempre. L'appello di don Ciotti, padre Zanotelli e Gino Strada non indica un'opzione tattica, ma ribadisce una discriminante strategica, etica e politica.
So bene che chi partecipa ad una coalizione si è consapevoli che saranno necessarie delle mediazioni. Non ho una visione manichea della politica, né penso che il nostro destino debba essere sempre quello di rimanere all'opposizione. Sono stato e resto convinto della necessità delll'Unione, non solo per battere le destre, ma anche per cercare di realizzare un governo rispettoso delle garanzie costituzionali e attento alle concrete condizioni di vita dei ceti popolari. Ma si può rinunciare a quello che per noi non è semplicemente un valore, ma è parte costitutiva delle stesse ragioni che ci spingono a fare politica? La responsabilità di mantenere insieme una coalizione è di tutti, e non può essere addebitata solo ad una parte.
Una coalizione non si governa con il maggioritario, altrimenti sarebbe stato sufficiente aderire ad un programma scritto da DS e Margherita: tutti gli altri avrebbero potuto solo decidere se essere passivi portatori d'acqua o se rinunciare all'alleanza. Per questo è stato scritto un programma condiviso. Ma in questo caso non si tratta di rispettare i patti siglati: la missione in Afghanistan non è contenuta nel programma dell'Unione, e non poteva essere altrimenti: molte forze politiche non l'avrebbero firmato.
Lo sanno tutti: lo sa bene D'Alema, che, infatti, con un tatticismo di cortissimo respiro, alza la posta chiedendo un aumento del contingente per poi offrire una mediazione sul mantenimento della situazione attuale. Lo ha sempre saputo Prodi. Se non lo sa , penso che sia opportuno ricordarglielo. Può stare certo che almeno su questo punto la presenza della sinistra radicale al governo non costituisce un fatto folcloristico.
A chi, nel ruolo non disinteressato di novella Cassandra, di fronte ad un simile confronto in prevede una sopravvivenza fortemente limitata nel tempo, rispondo che la discussione che abbiamo di fronte ora è probabilmente una delle più difficili. Nulla infatti, per chi proviene dalla storia dei movimenti di questi ultimi anni, è maggiormente fondante del rifiuto senza se e senza ma della guerra.






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