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11 ottobre - Una data per poter ripartire



il manifesto, appello di Vittorio Agnoletto e Andrea Morniroli

Berlusconi ha fatto tesoro del passato; a parole non ricerca lo scontro frontale ma nei fatti procede celermente all'attuazione del suo progetto: tutela dei suoi interessi, modifica de facto della Costituzione, distruzione della scuola pubblica, indifferenza verso la sicurezza sul lavoro, salari divorati dall'inflazione e precari abbandonati a se stessi.Inoltre per le prossime europee soglia di sbarramento e cancellazione delle preferenze: si uccide il pluralismo e si trasforma la democrazia in un simulacro.
Il tutto coperto da grida manzoniane contro rom, immigrati, prostitute, dipendenti pubblici fannulloni...Le vittime predestinate sulle quali scaricare la paura per il proprio futuro.Il Pd rincorre il governo sulla sicurezza, corteggia la Confindustria e si dispiace di non poter raggiungere una maggiore intesa con la destra.C'è urgenza di sinistra. Ma non vi sono scorciatoie; la nostra crisi è profonda e strategica.Abbiamo perso la sfida culturale; la demagogia ha conquistato gran parte dei ceti popolari. L'operaio lotta con la Cgil per il salario, ma poi vota a destra in nome della sicurezza e contro gli immigrati.
Anche questi ultimi sono al nostro fianco quando lottiamo per il permesso di soggiorno, ma appena l'hanno raggiunto, non pochi tra loro chiedono politiche più dure verso i clandestini, percepiti come potenziali concorrenti nella lotta per la sopravvivenza. Si è quasi definitivamente cancellata la cultura della cura, che riconosceva l'altro, qualunque fosse il suo genere e la sua identità, come persona da rispettare nei suoi diritti, sogni e bisogni.
Si è affermata un'idea di comunità corporativa ed egoista. Dove i processi identitari si fondano sull'annullamento delle identità altre; per dirla alla Revelli una democrazia autoritaria e dispotica, con un "diritto penale della disuguaglianza" che raggiunge il suo apice quando trasforma una condizione personale, quella di straniero, in reato.
Il primo terreno di scontro per noi deve quindi essere quello culturale per interrompere il legame tra gli "imprenditori della paura", come li chiama Rodotà, e gli spaventati. Una sfida che richiede tempi lunghi e necessita del protagonismo attivo, prima, durante e dopo l'11 ottobre, di quell'ampia, diffusa e ora spesso silenziosa, sinistra sociale. Dobbiamo riuscire a rendere evidente cosa lega, in modo profondo, la tutela delle persone transessuali con la difesa dei territori, la lotta per i beni comuni con quella contro la precarietà.
Abbiamo la necessità di capire che gli affetti che si creano in un centro diurno per disabili sono forti e belli come quelli nati tra le persone impegnate nei presidi permanenti in Val di Susa o contro la base di Vicenza. In altre parole, abbiamo urgenza di trovare una nuova e diversa dimensione politica ed etica, fondata sul legame con le pratiche, radicata nei quartieri popolari, tra le persone che dovrebbero essere non solo i nostri elettori, ma il nostro popolo; una politica capace di farsi carico del quotidiano, coraggiosa perché in grado di non rifiutare il conflitto.Abbiamo bisogno di una sinistra consapevole che gli attuali rapporti di forza politici, e prima ancora culturali, non pongono al primo posto nella discussione tra noi la ricostruzione di ipotetiche future alleanze per il governo, nè la rincorsa di un Pd sempre più parte integrante di una delle tante varianti culturali del liberismo. Almeno nelle sue espressioni dirigenti a livello nazionale e nella grande maggioranza delle esperienze di governo locale.
Una sinistra capace di ricordare che i conflitti sociali sono prioritari rispetto alle contraddizioni interne al sistema politico.






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