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La verità sui Cpt



Lavori in corso - Europa in movimento n.82


Da tempo il movimento chiede la chiusura dei centri di permanenza temporanea. Ma il governo di centrodestra e l’Europa vanno in una direzione opposta. Nel frattempo ogni tanto succedono dei “contrattempi”, come la morte di Hassan Nejl: “effetti collaterali” di strutture vergognose. Ecco cosa mi hanno raccontato le persone detenute con il maghrebino.

 
Nella notte di venerdì 23 maggio una persona è morta dentro a un centro di permanenza temporanea. Non era un criminale o un assassino. Ma anche se lo fosse stato, avrebbe avuto diritto ad essere assistito, visitato da un medico, forse salvato. Hassan Nejl è morto per cause ancora da verificare, in circostanze ancora da chiarire. Il lunedì successivo sono entrato nella struttura del Cpt di Torino, insieme al consigliere regionale di Rifondazione comunista Alberto Deambrogio, all’avvocato Gianluca Vitale e a Giovanni Amedura del gruppo migranti del capoluogo piemontese. Ho parlato, in un clima di forte tensione, con una decina di testimoni, che mi hanno raccontato tutti una stessa, precisissima versione: l’uomo sarebbe stato visitato una prima volta la mattina e gli sarebbe stato dato un antibiotico, avrebbe continuato a stare male e sarebbe stato rivisto nel pomeriggio di venerdì senza ricevere alcun farmaco; a quel punto, secondo la versione dei detenuti, è stato riportato nell’area rossa. Alle dieci di sera le sue condizioni si sono aggravate, il maghrebino aveva macchie rosse sul viso e sul collo, stava sempre peggio e aveva la febbre alta. I suoi compagni hanno cercato soccorso, tentando a lungo di fermare il personale del centro ma  nessuno è arrivato, fino alle 6.

Dunque dal pomeriggio del giorno precedente nessun medico lo avrebbe visitato, non ha più avuto contatti con personale sanitario e intorno alle 9.30 del mattino è stata diagnosticata la morte. Se tale ricostruzione venisse confermata dall’inchiesta in corso, saremmo di fronte a un’omissione di soccorso, in un centro che tra l’altro dista pochi minuti dall’ospedale Martini. E che è stato appena inaugurato; dovrebbe essere il non plus ultra dei Cpt…

Al di là delle polemiche politiche scaturite dalla mia visita, ho chiesto ufficialmente subito dopo che i testimoni coi quali ho parlato non venissero trasferiti. Mi è stata data una formale rassicurazione in questo senso, speriamo che venga rispettata. Mi auguro quindi che si indaghi sull’accaduto in maniera seria, e non mancherò di aggiornarvi sull’evolversi dell’inchiesta che farà luce sulla morte di Nejl.

Ora credo che quest’episodio debba essere almeno motivo di riflessione sulla realtà dei centri di permanenza temporanea. I ministri Maroni e La Russa stanno accelerando i tempi per identificare altri siti ove realizzare dei Cpt, il cui nome dovrebbe cambiare in Cei, centri di identificazione ed espulsione. Allo stesso tempo, nelle prossime settimane, come vi ho già illustrato da questa rubrica, l’Europa dovrà discutere e votare la proposta di direttiva che amplia il periodo di permanenza nei Cpt fino a 18 mesi e sancisce l’impossibilità, per un migrante, di rientrare in Europa per cinque anni dopo il primo arrivo.

La morte di Hassan Nejl è l’apice di una serie di altri episodi gravissimi. Vi ho raccontato della serie di violazioni riscontrate nel Cpt di Corelli, dove è stata rinchiusa una donna sposata con un italiano, alcune badanti e alcuni operai vittime di incidenti sul lavoro, tra le altre violazioni di ogni norma sull’asilo e sull’accoglienza degli immigrati. Pochi giorni fa, il caso della turista uruguayana che aveva comunicato in ritardo la sua presenza in Italia ed è finita dentro il centro di permanenza temporanea di Modena. Sempre a Torino, poi, un ragazzo ha tentato la fuga, e ha raccontato ad un avvocato – così come ci hanno riferito altri testimoni oculari -, di essere stato bloccato e selvaggiamente picchiato dalle forze dell’ordine. Secondo la versione riportata dal giovane, sarebbe stato portato in ospedale dove i medici avrebbero diagnosticato che le sue ferite erano dovute a una caduta accidentale. Questo ragazzo non ha avuto nemmeno la possibilità di sporgere denuncia perché è già stato rimpatriato.

È evidente che il sistema attuale non funziona o comunque contempla degli “errori” che un Paese civile non può tollerare. Per questo rinnovo l’appello a mobilitarci contro la deriva securitaria e razzista che permette situazioni di questo tipo. Dobbiamo evitare che in Italia per il solo fatto di non essere in possesso di regolare permesso di soggiorno ma senza accuse di aver compiuto alcun reato, migliaia di persone vedano lesi i loro diritti fondamentali. Dobbiamo impedire altre “strane morti” e tutelare il rispetto della dignità di chi varca i nostri confini alla ricerca di un futuro migliore.

 






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