Sei qui: home » articoli » archivio 2008

Tibet, agli affari dell'Occidente non servono i diritti umani



Il manifesto, 'l'intervento'

«Boicottare le Olimpiadi di Pechino 2008 è un po’ come boicottare noi stessi», è questo il pensiero che sembra attraversare le menti dei grandi (e aspiranti grandi) della terra, dal presidente George W. Bush al candidato premier italiano Walter Veltroni, che in questi giorni di cronaca feroce dal Tibet si sono ben guardati dall’affondare le critiche a Pechino. E le ragioni dal loro punto di vista ci sono tutte, se si considera che il valore degli scambi commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea da una parte e Cina dall' altra ammonta a 257 miliardi di dollari, che l' ammontare delle riserve valutarie cinesi ha superato per la prima volta la fatidica soglia dei 1.000 miliardi di dollari e che, per quanto riguarda il nostro Paese, ci sono 1.500 aziende italiane che operano in joint venture su territorio cinese.

Numeri pesanti, da tenere ben presenti, soprattutto alla vigilia di una recessione Usa che significherebbe una recessione generalizzata mondiale e quindi la prima vera crisi strutturale dagli anni ’70 ad oggi. Meglio quindi scommettere sulla Cina come ancora di salvataggio dell’economia mondiale, e tollerarne la sistematica violazione dei diritti fondamentali, piuttosto che rimettere in discussione le fondamenta sui cui poggia il capitalismo del XXI secolo e di cui Pechino è il nuovo campione designato.

Un capitalismo che il regime di Hu Jintao e Wen Jiabao sta applicando fedelmente in Tibet, convinti (erroneamente!) dell’idea che anni di rapida crescita economica avrebbero smorzato le istanze separatiste. Ma così non è stato e, nonostante l’economia tibetana abbia superato il tasso di crescita medio della Repubblica Popolare - grazie a generosi finanziamenti da Pechino, alla nuova linea ferroviaria Pechino-Lhasa e al milione di turisti che ogni anno si recano in Tibet -  il processo di “modernizzazone” della regione ha dato l’esito opposto. Perché? In primo luogo perché i cinesi non si sono mai preoccupati di chiedere ai tibetani quale modello di crescita economica essi auspicavano. In secondo luogo perché favorendo le aree urbane a scapito di quelle rurali, lo sviluppo secondo il modello cinese non può che esacerbare la sperequazione dei redditi e mettere a repentaglio le tradizioni e gli stili di vita delle popolazioni locali.

L’urbanizzazione forzata e lo sfollamento delle campagne per fare spazio alle mega-infrastrutture e al carico di speculazioni che si portano dietro vanno di pari passo con le reiterate denunce da parte di Amnesty International e che riguardano:

il giro di vite del governo contro avvocati e attivisti per i diritti  umani che sono stati soggetti a lunghi periodi di detenzione arbitraria senza accusa, nonché a vessazioni da parte della polizia o di bande locali manifestamente tollerate dalla polizia;
l’inasprimento dei controlli su giornalisti, scrittori e utenti di Internet con numerosi quotidiani e giornali popolari chiusi e centinaia di siti web internazionali bloccati d’autorità;
la pena di morte che continua a essere applicata in modo esteso per punire anche reati di tipo economico e non violento;
l’assenza di qualsiasi  progresso nella riforma del sistema della “rieducazione attraverso il lavoro”, un sistema di detenzione amministrativa senza accusa né processo.

Al Parlamento europeo la difesa di questi diritti non é iniziata e non finirà con le olimpiadi. Ricordo ad esempio come recentemente proprio a Strasburgo abbiamo respinto la proposta delle destre e dei conservatori di cancellare l'embargo sulla vendita delle armi alla Cina. Allora, come oggi, dietro quella richiesta vi era l'obiettivo non dichiarato di molti governi europei di non compromettere i propri affari con Pechino. Lo stesso motivo che due settimane fa ha spinto il Dipartimento di Stato americano a depennare la Cina dalla "black list" dei paesi colpevoli delle maggiori violazioni dei diritti umani nel mondo.

Boicottare le olimpiadi avrebbe senso solo se l'occidente fosse realmente disposto a mettere al primo posto nelle relazioni internazionali, e in particolare negli accordi commerciali, il rispetto dei diritti umani e relegare in secondo piano i profitti senza limite delle imprese transnazionali. Il caso Tibet e il caso Cina più in generale offrono in tal senso un'occasione imperdibile per riflettere sulle cause dell'imminente fallimento della globalizzazione liberista e prima la faremo questa analisi (come nazioni ricche), prima inizieremo la risalita e l’uscita dal tunnel in cui il capitalismo selvaggio degli ultimi vent’anni ci ha costretto. Citando un famoso film di Matthew Kassovitz, l’Odio (film culto sulle banlieus parigine), mentre i nostri governanti osservando un uomo che precipita dall’ultimo piano di un grattacielo si ripetono il mantra: «fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene», noi come movimento dovremo ricordargli sempre che: «l’importante non è la caduta ma l’atterraggio».

Vittorio Agnoletto, europarlamentare gruppo Gue - Sinistra unitaria europea






spedisci il link ad un amico