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Malalai, la lunga battaglia per i diritti delle donne e del popolo afgano



Uè, L'Europa rivista - inserto di Liberazione


Ci sono persone che non hanno paura di sfidare il potere. Ci sono persone che lo sfidano e basta, quando c’è di mezzo un diritto da salvaguardare. Di persone così la storia ne ha viste poche. E una di queste è Malalai Joya, una giovane afgana, per la quale si è mobilitata l’opinione pubblica mondiale.

La sua vicenda politica comincia nel dicembre 2003, in occasione della convocazione della Loya Jirga, il gran consiglio afgano, per scrivere la nuova costituzione. Malalai vi partecipò come rappresentante della provincia di Farah, dove viveva e lavorava come assistente sociale. A un certo punto questa giovanissima (aveva 25 anni all’epoca) “illustre sconosciuta” decise di intervenire per denunciare la presenza in quella stessa assemblea di famigerati signori della guerra e comandanti fondamentalisti colpevoli di delitti e soprusi di ogni genere.

Denunciò pubblicamente queste persone, le indicò come i principali responsabili delle discriminazioni subite dalle donne, della condizione di totale subordinazione e assenza di diritti fondamentali cui era stato costretto il genere femminile nel corso degli ultimi anni. Disse che il loro posto era davanti ai tribunali internazionali, per essere giudicati dei loro crimini e che in ogni caso il popolo afgano non li avrebbe mai perdonati per le loro colpe.

Da quel giorno Malalai fu minacciata di morte, denigrata, diffamata. Ma decise di andare avanti, candidandosi alle elezioni parlamentari del 2005. Con oltre 7mila voti, è diventata deputata del parlamento afgano. Fino al maggio di quest’anno, quando i suoi colleghi hanno deciso di estrometterla dal suo incarico, per aver criticato l’operato del parlamento e del governo afgani.

Il pretesto è stato infatti un suo intervento nel quale puntava il dito contro i «fallimenti della sua politica nei confronti del popolo afgano» e una  frase nel corso di un’intervista, nella quale affermava che il parlamento afgano è peggio di una stalla, vista la presenza di criminali di ogni genere.

In questi mesi la storia di Malalai ha fatto il giro del mondo. Mentre la sua vita è sempre più a rischio, visti i tanti nemici e persa la carica istituzionale che ne garantiva in qualche modo l’incolumità, l’opinione pubblica globale ha creato e promosso un vero e proprio movimento, una rete di associazioni che cercano di aiutare la deputata afgana nella sua difesa dei diritti umani.

Insieme a Andre Brie e Tobias Pflueger a nome del gruppo GUE, ne ho sostenuto la candidatura al Premio Sacharov 2007, un riconoscimento attribuito ogni anno dal Parlamento Europeo per la libertà di pensiero a individui o organizzazioni che combattono l'ingiustizia e l'oppressione. È arrivata al quarto posto tra i finalisti del premio, un risultato importantissimo, che contribuisce a rinoscerle il merito di essere in prima linea per l’affermazione delle libertà della sua gente. Il gruppo parlamentare della Sinistra Unitaria Europea l’ha ufficialmente invitata come ospite al Parlamento Europeo per il prossimo mese di febbraio.

Pochi mesi fa, inoltre, la Commissione Europea ha risposto ad un’interrogazione parlamentare presentata dal sottoscritto e da Luisa Morgantini, nella quale esprimevano la nostra preoccupazione per la sorte di Malalai. La Commissione, come si legge nel testo della risposta, ha ritenuto «la sospensione (della deputata, ndr) chiaramente una reazione spropositata alle dichiarazioni rilasciate dalla parlamentare durante un dibattito televisivo, (…) e essa risulta anche violare le norme procedurali del parlamento afghano, che prevedono solo sospensioni per brevi periodi di tempo».

Ma – e questo è l’importante – è soprattutto la gente comune, persone, attivisti e non, intellettuali, insomma un movimento trasversale e mondiale che ha capito l’importanza del percorso di questa coraggiosa donna. Centinaia di e-mail sono arrivate a me e agli altri parlamentari europei nel corso della selezione dei vincitori del premio Sacharov, a sostegno della candidatura della paladina dei diritti degli afgani.

Sostenere l’operato e le idee di Malalai Joya significa infatti aiutare il popolo afgano, significa investire e scommettere sulla società civile afgana: l’unica strada possibile per rimediare ai drammatici danni arrecati al Paese dalla “missione di pace” occidentale, senza riconsegnare l’Afghanistan ai talebani e ai narcotrafficanti.

 

Malalai Joya è in Italia proprio in questi giorni, ospite del Cisda, il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane. Ecco il calendario della sua visita:

oggi, sabato 6 ottobre, sarà a Viareggio,

da lunedì 8 a mercoledì 10 a Arezzo,

dall’11 al 14 a Roma,

lunedì 15 a Osnago,

martedì 16 a Bologna,

giovedì 18 a Vicenza e a Venezia in serata,

venerdì 19 a Venezia,

sabato 20 a Belluno.

Per saperne di più e ricevere informazioni sulle iniziative cui parteciperà Malalai in Italia, scrivete all’indirizzo e-mail: cisda@tiscali.it

 







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