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Nella terra degli Inuit, dove l'effetto serra si vede e gli Stati Uniti vogliono raddoppiare la base militare



Articolo di Vittorio Agnoletto e Roberto Musacchio, Liberazione

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L'assemblea del Partito della sinistra della Groenlandia, tra le preoccupazioni ambientali
e lo sciopero dei dipendenti delle linee aeree - che in capo al mondo devono essere bene comune

E 'la terra di Smilla, eroina bel libro di Peter Hoeg che narra la storia avventurosa della figlia di una cacciatrice groenlandese e di un medico danese. E i contrasti in questa terra estrema sono evidenti. A partire dallo sciopero degli aerei che ci sta tenendo bloccati nel villaggio di Ilulissat con tutta la delegazione del GUE arrivata fino a qui su invito del partito di sinistra Inuit a vedere e a parlare di effetto serra nella terra dei ghiacciai, di militarizzazione in uno dei crocevia tra Europa ed America, di democrazia in una terra che ha effetti globali sugli equilibri del pianeta ed è abitata da sole cinquantasettemila persone su un territorio più grande più di Italia, Francia, Inghilterra messe assieme.

Lo sciopero è durissimo e blocca tutto. Sono otto mesi che i lavoratori chiedono di trattare con la compagnia senza ottenere risposta. La compagnia è un misto di partecipazioni nordiche e ha il monopolio dei voli da e per la Groenlandia. Partecipata dal pubblico agisce in modi privatistici, non una buona cosa in una situazione limite come questa dove le condizioni atmosferiche basterebbero e dove l'aereo è il solo mezzo di trasporto possibile per raggiungere l'Europa e alcuni beni primari (ad esempio un ospedale).
La lotta è dura, ci dicono i compagni del partito della sinistra danese che hanno organizzato il viaggio, anche perché qui è la vita ad essere dura. E' normale che la natura possa bloccare i trasporti. E allora lo possono fare anche i lavoratori.
In una terra come questa il tema del pubblico e della democrazia assume un significato enorme. I trasporti vanno garantiti e le logiche private, per i conflitti e per i costi, li mettono a repentaglio.
Ancora più enorme diviene la questione se pensiamo ai temi dell'effetto serra. In Groenlandia sono depositate nei ghiacci il 10% delle risorse idriche disponibili, ogni giorno si forma ghiaccio pari alla quantità d'acqua necessaria ad una città come New York, lo scioglimento dei ghiacciai le mette a repentaglio. E puo' alterare gli equilibri complessivi del pianeta. Gia' oggi lo scioglimento determina un innalzamento dei mari di 0,2 mm/anno. Lo si osserva ad occhio nudo. Ne parlano i groenlandesi che raccontano di un sistema prodotto e abituato ai tempi biologici scosso da una velocizzazione che ne altera gli equilibri complessi. I ghiacciai non sono semplicemente acqua solidificata, ma un delicato sistema di equilibri tra acqua, cielo e terra, correnti e calore. Ce lo raccontano gli esperti indipendenti americani che lo studiano in permanenza al pari di quelli dell' Ipcc (l'International panel on climate change) dell'Onu. Ma tutti gli abitanti sanno che questa velocità porta a piogge più frequenti, aumento delle temperature, ulteriore e diversa instabilità che si riflette già ora sul delicato equilibrio dell'ecosistema della Terra. Il cambiamento climatico produce effetti anche sulla pesca locale, prima fonte di reddito per i groenlandesi. Colpita per altro anche dalle tecniche predatorie degli enormi pescherecci delle multinazionali. Ecco che il tema di chi decide per questa terra diviene fondamentale. Sono decisioni che riguardano insieme loro, i groenlandesi, Inuit e di origine europea, e tutto il mondo. Si gioca su questa gigantesca isola che galleggia tra i continenti una partita enorme. Lo dimostrano gli interessi americani. Collin Powell era di casa come la gigantesca base Usa. L'amministrazione Bush ha chiesto di poterla potenziare rivedendo gli accordi del 1951 con la Danimarca attraverso i quali gli Stati Uniti hanno ottenuto l'uso del territorio di Thula. Le trattative sono aperte ma per la prima volta non sono bilaterali: a fianco di Washington e Copenhagen parteciperà, con pari dignità anche la Groenlandia; ciascuna delle tre parti avrà diritto di veto: un'arma a doppio taglio che può essere usata dagli americani per bloccare l'eventuale richiesta di ritirare la base, ma anche da Danimarca e Groenlandia che possono rifiutarne l'ampliamento. E' forse superfluo raccontare come sia forte, anche attraverso generose offerte economiche, la pressione Usa. Non è un mistero che dal dopoguerra gli Usa accarezzino l'idea di trasformare questa terra in un loro possedimento economico/militare.
L'Ue per ora sembra restare fuori dalla partita, nonostante sia appena passata la Merkel a vedere l'effetto serra. Ne parliamo con i nostri compagni Inuit che nascono da una sinistra sessantottina arrivata anche qui. Sono una forza che sfiora il 25%, orientata verso l'indipendenza. Ma forse non basta parlare di indipendenza per una terra che è l'esempio di quanto serva una nuova democrazia, locale e globale, quella dei beni comuni, della nostra terra, l'unica che abbiamo.







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