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Cernobyl: la parola alla Commissione europea



Lavori in corso - Europa in movimento n.18

Ad aprile, pochi giorni dopo le celebrazioni del ventesimo anniversario dall’incidente nucleare, presentai un’interrogazione alla Commissione europea su Cernobyl. Troppe le situazioni di pericolo per la zona colpita dal disastro, troppi i dubbi riguardo i finanziamenti al nucleare. Ecco la risposta…

La lezione di Cernobyl non è bastata. Lo dice la realtà odierna di quel Paese. Gli abitanti della zona non possono ancora tornare a vivere nella loro terra. I loro governi li incentivano a rientrare nelle zone contaminate, pur sapendo che il territorio non è bonificato. La radioattività è infatti altissima, l’agricoltura risente pesantemente dell’incidente del 1986. Oltre tutto, il «sarcofago» contenente il reattore della centrale è pieno di buchi, dai quali escono radiazioni e polveri nocive. E, oltre ad essere danneggiato, ha anche una data di scadenza: trent’anni dal giorno del disastro nucleare. Ebbene, ne sono passati già venti e i contributi economici necessari per costruire un nuovo «sarcofago» più sicuro non sono ancora stati stanziati. Il rischio, per i cittadini ucraini ma anche per tutti gli europei, è tangibile.
Lo scorso 23 giugno la commissaria Benita Ferrero-Waldner ha risposto alla mia interrogazione a proposito di questa drammatica situazione.
La raccolta di fondi per la messa in sicurezza del reattore è effettivamente in un momento critico, soprattutto considerando che restano dieci anni di tempo. La Commissione europea, che dovrebbe aiutare l’Ucraina nella realizzazione della struttura di protezione del reattore, ha versato fino ad ora 190,5 milioni di euro e, nel 2005, ha previsto un ulteriore impegno pari a 49,1 milioni di euro. Purtroppo siamo lontani dalla spesa totale, pari a 1 miliardo e 91 milioni di dollari.
Nei giorni dell’anniversario della tragedia ero a Cernobyl insieme ad una delegazione di Legambiente e le autorità locali hanno detto ufficialmente e in modo molto esplicito come stanno le cose: sono stati raccolti fino ad ora solo 600 milioni.
L’Europa deve assumersi la responsabilità politica di questo «buco». O nel giro di pochi anni dovrà rispondere di nuovi danni, malattie, morti.






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