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Sulle elezioni europee



Rinascita


Il 13 giugno, all’indomani delle elezioni europee due erano le note positive uscite dalle urne: la sconfitta del governo Berlusconi e il manifestarsi, per la prima volta con una tale forza, di un’area a sinistra della linea ufficiale dei DS che nelle sue diverse articolazionI raccoglieva circa il 13%.
Nel popolo della sinistra diffusa sembrava  affermarsi l’idea che potesse esistere una concreta possibilità di mandare a casa Berlusconi, seppure alla data istituzionalmente prestabilita, e contemporaneamente maturava la speranza di poter costruire in tempi utili un polo di sinistra antiliberista in grado di pesare negli equilibri programmatici dell’auspicato futuro governo.
Le cronache di questi giorni rischiano di rendere molto meno concreta la possibilità intravista solo sei mesi fa; la GAD sembra concentrata nell’applicare su di sé il famoso detto morettiano “continuiamo a farci del male”. La discussione pare tutta concentrata sui nomi e sulle architetture istituzionali e ben poco sui programmi. Restano in ombra quei contenuti che dovrebbero garantire, ai tanti che rimasero delusi dall’esperienza dei governi di centrosinistra del ’96-2001,  che la Storia non sempre è condannata a ripetersi. E questo indipendentemente dalla collocazione assunta durante la caduta del governo Prodi. 
La costruzione di tale appeal non è una questione di poco conto se si è convinti che la possibilità di battere Berlusconi dipende non tanto dalla conquista di un centro politicamente ed economicamente sempre più evanescente, quanto dalla capacità di riportare al voto gran parte dell’astensionismo di sinistra
In questo contesto l’iniziativa lanciata da il Manifesto, così come quella altrettanto importante del 16, organizzata da riviste con diverse ispirazioni culturali, ma tutte collocate nell’area antiliberista,  può essere di estrema utilità non solo per i soggetti individuali e collettivi chiamati a parteciparvi, ma per l’insieme di tutta l’opposizione: un sano e doveroso richiamo al confronto sui programmi.
Una sfida che chiederà risposte precise; pena la tenuta della coalizione, non tanto nel confronto interpartitico, nel quale una qualche soluzione di volta in volta nel fotofinish finale sarà escogitata (a meno che ultimamente non sia cresciuto immensamente il numero degli aspiranti suicidi), quanto nel diffuso popolo di sinistra.
Perché un popolo di sinistra, confinante con quello progressista-moderato che si richiama alla Federazione, e forse da questo non sempre separabile con un taglio netto, continua ad esistere ed è sempre esistito. Ma la vera novità è che dal luglio 2001 questo popolo ha ritrovato una propria identità, ha riscoperto linguaggi comuni senza cancellare le specifiche appartenenze sociali, partitiche  ed associative, che anzi forniscono l’humus delle competenze necessarie.
Questo popolo ha sperimentato anche la propria capacità nel costruire egemonia , almeno su specifici temi quali l’opposizione alla guerra o la lotta contro la privatizzazione dell’acqua e per l’accesso universale ai farmaci…(solo per citarne alcuni) su ampissimi strati di popolazione  molto lontani dal proprio retroterra culturale. Abbiamo quindi scoperto che se sul piano politico istituzionale siamo ancora minoranza, questo non significa automaticamente che in tale ruolo siamo condannati a restare su ogni aspetto del dibattito sociale e politico.
Penso che questa capacità di ritrovarsi insieme sugli ideali e sul fare, tra persone con percorsi differenti unite in un pragmatismo non fine a se stesso ma che rappresenta una ben definita progettualità, oggi ponga anche, ma non solo, alle forze politico organizzate un quesito ben preciso.
E’ possibile non considerare immutabile l’attuale geografia partitico istituzionale e avviare un percorso verso la costruzione di un’area organizzata antiliberista dove convivano coloro che provengono da differenti tradizioni di pensiero?
E’ possibile evitare di ridurre tutto questo alla sommatoria dei partiti o delle correnti già oggi esistenti? C’è veramente la volontà di coinvolgere la sinistra diffusa in un progetto nel quale ogni realtà, anche non partitica, abbia pari dignità, a cominciare dall’elaborazione del programma, ma con uno sguardo ben più lungimirante?
C’è la disponibilità delle tante realtà locali e nazionali dell’associazionismo ad assumersi precise responsabilità in questo percorso e contestualmente c’è la consapevolezza da parte delle forze politiche organizzate della necessità (pur non chiedendo a nessuno di rinunciare alla propria identità) di fare qualche importante passo indietro e di cedere qualche pezzo di sovranità?
Se volgiamo evitare di trasformare il week-end del 15-16 gennaio in un appuntamento bello, interessante, ma politicamente poco efficace ognuno da parte sua deve provare a fornire le risposte alle domande che gli competono.







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