Sei qui: home » articoli » archivio 2007

Africa: il Parlamento europeo sbanda sugli Epa



Il manifesto, pag.2

Il Parlamento europeo ha approvato ieri la relazione Sturdy sugli Accordi di partenariato economico (Ape, o Epa in inglese) tra Unione europea e Paesi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico).
A ventiquattro ore dall’incontro dei ministri dei due blocchi, che si riuniscono oggi a Bruxelles per valutare lo stato di avanzamento dei negoziati, una critica esplicita dell’europarlamento all’operato della Commissione avrebbe rafforzato il potere contrattuale dei rappresentanti del Sud del mondo  e dato voce alle rivendicazioni dei movimenti sociali africani. Ma così non è stato. Al di là di timidi accenni ai rischi potenziali delle cosiddette “Singapore Issues” (investimenti, concorrenza, appalti pubblici) e del richiamo al rispetto della Dichiarazione di Doha su brevetti e salute pubblica, l’aula di Strasburgo ha confermato la scadenza del 31 dicembre 2007 come data di chiusura delle trattative e confermato la piena fiducia nell’operato dell’esecutivo europeo.

Una vera e propria occasione persa. Ad oggi infatti il negoziato Epa, così come condotto dal Commissario al commercio Mandelson, su mandato del Consiglio europeo, mette a forte rischio la sovranità economica ed alimentare dei Paesi africani e degli altri Paesi Acp.
L'impatto sociale e ambientale dell'apertura selvaggia dei mercati locali agli investimenti europei, principalmente rivolti allo sfruttamento delle risorse naturali, andrebbe ad aggiungersi negativamente alla mancanza di effettivi ritorni economici per le popolazioni di quei Paesi. Come si evince da un recente studio d’impatto dell’Undp (il programma dell’Onu dedicato allo sviluppo), rapportando il beneficio che i consumatori africani godrebbero in caso di creazione di un’area di libero scambio – grazie a prezzi inferiori su prodotti industriali europei tecnologicamente più avanzati - con la perdita di posti di lavoro causata dalla chiusura di fabbriche non competitive e con il taglio dei servizi essenziali susseguente all’azzeramento delle entrate da tariffe doganali, la perdita netta dei partner Acp in termini di welfare è evidente. Lo Zimbabwe, per fare un esempio su tutti, ricaverebbe un surplus del consumatore pari a 8,1 milioni di dollari ma sconterebbe un buco nell’erario di 18,4 milioni e una riduzione del fatturato nazionale di 63,2 milioni di dollari. Sommando algebricamente l’effetto positivo con quelli negativi, l’applicazione degli Epa causerebbe allo Zimbabwe una perdita netta di 73,5 milioni di dollari. Una cifra pari al 2% del suo Pil. L'unico vantaggio sarebbe quindi per le grandi multinazionali petrolifere, agro-alimentari, farmaceutiche e di servizi .
Per queste ragioni il gruppo Gue/Ngl (a nome del quale sono intervenuto in plenaria), facendo proprio l’appello alla mobilitazione lanciato all'ultimo Forum sociale mondiale di Nairobi da parte delle organizzazioni sociali africane, aveva chiesto di fermare i negoziati Epa così come impostati e di ripartire su basi completamente nuove: mettendo al centro la giustizia sociale, la solidarietà e l'auto-determinazione dei popoli. Allo stesso modo avevamo sostenuto la richiesta di un allungamento dei tempi del negoziato. Ma popolari e socialisti hanno fatto orecchie da mercanti e deciso di appoggiare l’illogica posizione della Commissione europea secondo cui, mentre le discussioni sul Doha Round vive una fase di stallo assoluto in sede Omc, il negoziato Epa (aperto su esplicita richiesta della stessa Omc) non possa prevedere deroghe sulla scadenza del 31 dicembre 2007.
Il nostro lavoro, dentro e fuori le aule del Parlamento, proseguirà ora al fianco delle reti “Stop-Epa” internazionali affinché tutta l’Ue si adoperi in sede Omc per ottenere il riconoscimento di un regime transitorio che mantenga l’attuale sistema di preferenze commerciali a vantaggio dei paesi Acp fino a che  un nuovo accordo non sarà finalizzato. Anche l’Italia, dopo il passaggio del dossier Epa dalle mani della ministra Bonino a quelle della vice-ministra Sentinelli ha assunto questa posizione all’interno del Consiglio europeo ma al momento, esclusa l’Olanda, risulta alquanto isolata.

La battaglia è ancora aperta. Quello che è in gioco è il futuro dei più poveri e l'Europa deve accettare di pagare il prezzo politico ed economico, se necessario, pur di difenderlo. Nell’agenda fissata da Angela Merkel per il prossimo G8 di Rostock la riduzione delle povertà in Africa è stata ancora una volta, dopo Gleneagles, identificata come una priorità assoluta ma il tempo delle promesse è ormai scaduto. Nessuno sente il bisogno di nuovi impegni cartacei. Il mantenimento dei vecchi non è più derogabile e fra questi il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio per il 2015 è intimamente legato alla battaglia contro gli Epa.






spedisci il link ad un amico